Introduzione al vol. 11

Il Premio Goethe, che gli fu conferito nel 1930, procurò a Freud molta soddisfazione. Gli era stato annunciato mentre si trovava in campagna a Rebenburg presso il Grundlsee nel Salzkammergut, durante quella che fu la sua ultima villeggiatura lontano da Vienna. Ebbe a dichiarare che quel premio aveva segnato la vetta più alta che, nel corso della vita, era riuscito a raggiungere nel mondo della cultura.

Senz'altro la figura di Freud continuò a crescere nella coscienza della gente del nostro secolo, anche dopo la sua scomparsa. Anzi — come per molti grandi uomini — la vera fama e l'universale riconoscimento vennero dopo.

Ma dal 1930 al 1939, quando morì, il problema non fu tanto quello di affermarsi e propagare il proprio pensiero, quanto quello di sopravvivere.

Da un lato la malattia, rivelatasi nel 1923 e dopo di allora tenacemente combattuta con interventi chirurgici sempre più drammatici e dolorosi, non gli dava tregua. Fin dai primi anni si trovò nella impossibilità di parlare in pubblico. E col pubblico potè continuare ad avere un rapporto verbale solo attraverso la mediazione della figlia Anna, la quale si recava, in rappresentanza del padre, alle riunioni, alle cerimonie e ai congressi, leggendovi i messaggi, le comunicazioni e i discorsi che Freud scriveva.

Il numero dei pazienti in cura aveva dovuto essere ridotto. E si trattava perlopiù di stranieri, in prevalenza americani, i quali si rivolgevano a lui per analisi didattiche, allo scopo di divenire a loro volta psicoanalisti, più che non per analisi propriamente terapeutiche.

Ma negli anni '30 anche lo spettro pauroso di una nuova guerra, più feroce, più brutale, più totale di quella che era stata la prima guerra mondiale, veniva profilandosi in modo sempre più inevitabile.

AI tempo della prima guerra mondiale Freud si era perfino illuso di avere finalmente trovato nel proprio paese (sempre ostile e dominato da preconcetti antisemiti) una patria austriaca, in cui potersi riconoscere. Il nuovo conflitto che si veniva preparando gli avrebbe tolto ogni parvenza di patria. Eppure sperò per vari anni che l'Austria, ora divenuta un piccolo paese democratico, tale da non poter costituire minaccia per alcuno, rimanesse protetta (come altri paesi di lingua prevalentemente tedesca, quale la Svizzera) dall'ondata di furore che veniva profilandosi. E anche quando il nazismo in Germania si fece sempre più minaccioso, travolgendo la Repubblica di Weimar e conquistando il potere, Freud continuò a sperare che da qualche parte sarebbe giunta la salvezza per l'Austria.

Da un lato egli confidava nella Chiesa cattolica, la quale avrebbe dovuto impedire ai tedeschi, luterani quando non antireligiosi, di distruggere l'Austria fedelmente cattolica. Poi confidò perfino in Mussolini, che paradossalmente era allora ritenuto più forte di Hitler. L'Italia, inoltre, aveva sempre ignorato il problema ebraico e il fascismo italiano — veduto dal di fuori, e con l'occhio del turista — non sembrava alla fin fine minaccioso per alcuno.

C'è, a questo proposito, un episodio. Edoardo Weiss, allora il più autorevole discepolo di Freud in Italia, gli fece conoscere un gerarca fascista che aveva bisogno della sua opera per una persona della propria famiglia. E a mezzo di questo gerarca Freud inviò a Mussolini un suo scritto (il carteggio con Einstein del 1932 Perché la guerra?) con una dedica lusinghiera: tale veramente che gli italiani di oggi, che il fascismo hanno provato sulla propria pelle, difficilmente potrebbero apprezzare.

Ma Freud avrebbe fatto buon viso anche al diavolo, se questi gli avesse garantito la incolumità della sua amata e insieme odiata Vienna, e la difesa dal mostro nazista.

Alle condizioni personali di salute, agli acciacchi dell'età che divenivano più gravi per il lento ma inesorabile progresso della malattia principale, si aggiungeva dunque Io stato di insicurezza per l'avvenire proprio e della propria famiglia.

Inoltre, dopo la morte di Abraham, avvenuta fin dal 1926, l'allontanamento dell'allievo prediletto Otto Rank, la dissidenza e poi la morte di quello che sembrava il suo allievo più fedele, Sandor Frenczi, la fuga dalla Germania tra il 1934 e il 1936 degli psicoanalisti che ancora vi si trovavano come Eitingon, il progressivo indebolimento, e poi nel 1937 la morte di Lou Salomé, che per lunghi anni era stata sua affettuosa corrispondente, erano tutti fattori depressivi per Freud. Vi si aggiungevano i contrasti interni esistenti negli ambienti psicoanalitici: sia per il problema dell'ammissione dei non medici all'esercizio dell'analisi, sostenuta da Freud, ma osteggiata ad esempio dagli americani; sia per il problema della pulsione di morte, che molti analisti non accettavano, attestandosi sulle posizioni di un monismo pulsionale, fondato su quel concetto di libido che per vari decenni era stato l'unico fondamento della teoria freudiana delle pulsioni; sia, infine, per la stessa tesi di una trasmissione extrasensoriale del pensiero, dapprima timidamente e con grande cautela prospettata da Freud, ma alla fine — sia pure in via soltanto ipotetica — ribadita, contro il parere di molti altri analisti.

Eppure, anche durante gli ultimi suoi anni, Freud alternò periodi in cui era restio a lavorare scientificamente, e a scrivere, a tempi in cui l'antica capacità produttiva, e la fantasia scientificamente inventiva, si risvegliavano. Cosicché fino alla morte produsse cose nuove e allargò la sfera dell'opera sua.

Non poteva più allontanarsi da Vienna per le vacanze estive, ma trovò qualche buona sistemazione nella campagna attorno alla città. Nel 1931 e 1932 a Pötzleinsdorf, dove si trovò bene, nel 1933 a Döbling, e nei quattro anni successivi a Grinzing.

Nel 1930, oltre all'indirizzo di ringraziamento per il Premio Goethe, scrisse poche cose: alcune brevi prefazioni e la Introduzione allo studio psicologico su Thomas Woodrow Wilson, opera che l'ambasciatore americano W. C. Bullitt si proponeva di pubblicare in collaborazione con lo stesso Freud. Tale introduzione (che apparve molti anni dopo la morte) fu scritta durante un soggiorno a Berlino, a cui Freud era stato costretto per cercar di migliorare, con l'aiuto di un nuovo chirurgo, la protesi alla mascella che gli procurava tormenti sempre più gravi.

Nello stesso 1930 mori in settembre, a 95 anni, la madre di Freud Amalie Nathanson. Freud reagì in un modo che a lui stesso apparve strano. Aveva sempre temuto di dare con la propria morte (che spesso aveva ritenuto prossima), un dolore insopportabile alla madre, la quale durante l'infanzia, ma poi per tutta la vita, lo aveva prediletto sugli altri figli. Ed è come se egli si fosse detto: finché essa vive non mi è permesso, pur così come sono ridotto, di darle questo dolore. Ora sono libero di lasciare la vita quando mi debba toccare.

E questo aveva creato in lui un gran senso di pace, di cui egli stesso si meravigliava, come scrisse a Jones e a Ferenczi.

Nel 1931 pubblicò un giudizio che gli era stato richiesto dalla Corte d'appello di Vienna, relativamente a un caso di parricidio. Con questo parere, Freud volle mettere in guardia dalla semplicistica tesi che il complesso edipico possa giustificare qualsiasi atto di violenza contro il proprio padre. I periti della Facoltà medica di Innsbruck avevano evidentemente voluto essere... più freudiani di Freud, e avevano dato una giustificazione edipica al parricidio di cui l'imputato era stato ritenuto colpevole nel giudizio di prima istanza.

Nello stesso 1931 Freud ritornò sui problemi della sessualità con uno scritto di psicologia differenziale che distingueva diversi tipi libidici, e con uno scritto sulla sessualità femminile, che egli era consapevole di aver sempre trascurato per il fatto di aver costruito lo schema di sviluppo della sessualità umana basandosi soprattutto sul modello maschile. Fra gli altri scritti minori del 1031, apparve la prefazione a un libro di Hermann Nunberg, una lettera al borgomastro della città di Pribor (0 Freiberg), per una lapide apposta sulla sua casa natale, e una lettera a un ex carcerato, Georg Fuchs, sulle condizioni di vita in carcere. Scrisse inoltre un breve e denso saggio sulla acquisizione e conservazione del fuoco presso i popoli primitivi.

Nel 1932 — oltre a uno scritto in cui viene ripresa la vecchia questione della priorità, rispetto a Popper-Lynkeus, per quanto riguarda la dottrina del sogno (in particolare la deformazione onirica), e a poche righe di prefazione per un dizionario psicoanalitico che Richard Sterba pubblicò qualche anno più tardi — Freud intraprese un'opera di maggior mole e importanza: la seconda serie di sette lezioni della Introduzione alla psicoanalisi (1932).

Malgrado il tempo trascorso dalla prima serie di lezioni dell'Introduzione alla psicoanalisi (1915-17), Freud riuscì a ritrovare il tono di quella prima opera, cosicché il lettore potrebbe avere l'impressione che anche le nuove lezioni siano state pronunciate davanti a un pubblico di studenti e di persone colte interessate a familiarizzarsi con i concetti e le applicazioni fondamentali della teoria psicoanalitica.

Non era facile agganciarsi al pensiero di quasi vent'anni prima, anche per le notevoli modificazioni apportate alla concezione dell'apparato psichico con le tre fondamentali opere del 1020-22: Al di là del principio di piacere (1920), Psicologia delle masse e analisi dell'Io (1921) e L'Io e l'Es (1922).

Ma Freud era maestro nell'allargare l'orizzonte delle sue concezioni, senza alterare i punti fermi precedentemente acquisiti, cosicché non solo riprese il vecchio linguaggio di fronte ad ascoltatori divenuti ora immaginari, ma riuscì a inserire nella propria opera anche argomenti, che discussi, non senza contrasti, nella cerchia dei suoi collaboratori, erano divenuti per lui questioni importanti: tali comunque da non poter essere trascurati.

Così viene ripreso il problema della telepatia; è nuovamente puntualizzata la questione della sessualità femminile; e anche per quanto riguarda la dottrina del sogno, essa viene completata con un esame del comportamento del Super-io durante il sonno e il sogno. Così pure Freud ritorna qui sul problema dell'angoscia, che in definitiva è una sorta di filo conduttore che percorre nel tempo l'intera sua opera. Non mancano gli spunti polemici. Freud si legava fortemente a tutti coloro che gli erano stati vicini. Ma non perdonò mai le secessioni e quelli che egli riteneva veri e propri tradimenti.

Con una sola eccezione, forse: per Sàndor Ferenczi. Questi si era messo in polemica con Freud, ma nel 1933, proprio mentre veniva pubblicata la nuova serie di lezioni dell'Introduzione alla psicoanalisi, morì ancora giovane. Freud scrisse allora un commosso necrologio.

Nello stesso 1933 furono pubblicati, uniti in un unico volumetto, i pareri che l'anno precedente si erano scambiati due fra i pili eminenti scienziati allora viventi, Albert Einstein e Sigmund Freud. Il titolo dell'opuscolo era Perché la guerra? e la sua pubblicazione in più lingue fu promossa dalla Società delle Nazioni.

Freud aveva conosciuto personalmente Einstein in passato. I due uomini erano uniti da un destino che poteva apparire sotto alcuni aspetti simile. Figli entrambi di modeste famiglie ebraiche, rimasti emotivamente fedeli alle tradizioni familiari, e tuttavia liberi da qualsiasi credenza religiosa, divennero entrambi personaggi famosi per la genialità delle loro concezioni rivoluzionarie. Rivoluzionarie nel senso che né la fisica né la psicologia possono attualmente più essere quelle che erano prima della relatività e prima della psicoanalisi. Come Copernico hanno infatti entrambe capovolto la realtà da loro indagata, trovando una differente impostazione per l'analisi di quella realtà.

E tuttavia Einstein e Freud erano uomini diversissimi, perché differenti erano i loro interessi e il tipo della loro curiosità scientifica. Così anche queste lettere sul perché della guerra risentono del carattere di ognuno.- Einstein più fiducioso nella possibilità di scoprire una via per neutralizzare quella umana aggressività latente di cui pure si rende conto; Freud più guardingo e più consapevole della inestirpabilità delle forze negative, distruttrici, mortifere, che albergano nell'animo umano: né un maggior benessere economico, e quindi una eventuale diminuzione delle cause materiali degli umani conflitti, né un grado superiore di civiltà, possono annullare la forza demoniaca che è connaturata all'essenza dell'uomo.

Nel 1933, oltre al necrologio di Ferenczi, Freud scrisse solo una brevissima prefazione a un grosso libro di Marie Bonaparte su Edgar Poe.

Ma l'anno successivo si accinse coraggiosamente a una nuova impegnativa impresa, che in parte si collega, e in parte ha analogie con Totem e tabù. A proposito di Totem e tabu (1912-13), a chi gli aveva chiesto se era proprio persuaso della verità storica, in certo modo databile, del parricidio collettivo e del pasto totemico (cioè cannibalico nei confronti del padre ucciso), Freud aveva risposto che era just a story (solo una favola immaginata dalla fantasia, dunque). Del libro che poi divenne L'uomo Mosè e la religione monoteistica: tre saggi, scrisse ad Arnold Zweig nel 1934, che stava componendo, sull'uomo Mosè, un "romanzo storico".

Si può qui cogliere il concetto che Freud aveva della verità psicologica: distinta dunque dalla verità di fatto, o materiale, di cui vanno in cerca, o che si illudono di trovare, gli storici di professione. È proprio questo l'insegnamento della psicoanalisi, come Freud esplicitamente illustrerà tre anni dopo nelle importanti considerazioni epistemologiche contenute in uno dei suoi ultimi scritti, Costruzioni nell'analisi, del 1937.

Ciò che Freud vuol mettere in rilievo nell'opera sull'origine del monoteismo è anzi tutto il fatto che sembrano esservi state due distinte tradizioni la cui convergenza avrebbero portato alla formazione della religione monoteistica ebraica.

Un filone sarebbe fondato sulla figura di un aristocratico egizio di nome Mosè, il quale avrebbe conservato il culto monoteistico del Dio Atòn, introdotto per breve tempo in Egitto dal Faraone Amenofi IV, e soppresso dai Faraoni succedutigli. Questo Mosè egizio avrebbe convertito tribù semitiche stanziate ai confini dell'Egitto, e le avrebbe portate fuori dal paese. L'altro filone sarebbe costituito dal culto di una divinità vulcanica, Yahweh, culto praticato da altri gruppi di popolazioni semitiche, guidati da un altro personaggio, poi identificato dalla tradizione con lo stesso Mosè. I due culti si sarebbero fusi insieme dando luogo alla religione mosaica.

Freud era restio a pubblicare questo libro. Nel 1937, mentre era ancora a Vienna, fece stampare i primi due saggi. Il terzo più ampio saggio, che completava l'opera, apparve invece solo nell'autunno del 1038, stampato in Olanda in lingua tedesca; ma l'editore appose la data 1939 al volume su L'uomo Mosè e la religione monoteistica.

Ragioni di prudenza (timore da un Iato di offendere gli ebrei, già duramente colpiti dalle persecuzioni, ma insieme anche di urtare i cattolici e i cristiani in genere, che si rifanno essi pure al Vecchio Testamento), oltre a difficoltà obiettive, agirono sulla indecisione di Freud, ormai vecchio e stanco, riguardo a questa pubblicazione.

Quattro anni impiegò Freud a scrivere il libro, dal 1934 al 1938.

Eppure in questi stessi anni Freud produsse anche opere che non mostrano affatto i segni della stanchezza.

Nel 1935 pubblicò soltanto una noterella sopra un atto mancato e una lettera a Thomas Mann per il suo sessantesimo compleanno.

Negli ambienti dell'intellighenzia europea di ispirazione liberale e progressista, era allora d'uso festeggiare i compleanni dei singoli personaggi pervenuti a una sicura notorietà, con lettere e omaggi scritti, che venivano pubblicati.

Così l'anno dopo Freud, che fin dal 1926 era in corrispondenza con Romain Rolland, scrisse per il settantesimo compleanno di quest'ultimo una lettera aperta intitolata Un disturbo della memoria sull'Acropoli: il saggio è costituito dalla descrizione autobiografica di uno strano fenomeno che aveva colto Freud nel 1904, mentre si trovava sull'Acropoli di Atene col fratello Alessandro.

Questo racconto autobiografico, scritto in omaggio a Romain Rolland, presenta particolare interesse per la storia personale di Freud e per determinati suoi conflitti e complessi.

Nello stesso 1936 cadeva anche l'ottantesimo compleanno di Freud.

In passato i suoi compleanni (6 maggio) venivano festeggiati dagli amici e allievi, che usavano giungere a Vienna in quel giorno per rendergli omaggio. Negli anni della malattia non sempre fu possibile a Freud ricevere insieme tanta gente. Ma l'ottantesimo anniversario aveva un valore particolare, e Freud, benché la cosa lo affaticasse, raccolse moltissime attestazioni di ammirazione e di affetto. Ludwig Binswanger andò con la moglie a trovarlo. Einstein gli mandò una lettera che, nell'entusiasmo con cui fu scritta, costituiva quasi una dichiarazione di adesione alla psicoanalisi.

Anche Thomas Mann si recò a visitarlo, e in questa occasione scrisse una allocuzione, firmata pure da Romain Rolland, da Jules Romains, da H.G. Wells, da Virginia Woolf e da Stefan Zweig. Ma il messaggio augurale fu sottoscritto da numerosi scrittoli e artisti (centonovantuno in tutto), fra i quali possono essere ricordati: Hermann Broch, Fritz Busch, Salvador Dali, Alfred Dòblin, Andre Gide, Knut Hamsun, Hermann Hesse, Aldous Huxley, James Joyce, Paul Klee, André Maurois, Robert Musil, Gunnar Myrdal, Pablo Picasso, Bruno Walter, Franz Werfel, Thornton Wilder.

Thomas Mann è riuscito a esprimere in questa allocuzione tutto quello che gli uomini del nostro secolo possono dire intorno a Freud.

Anche la Società psicoanalitica italiana, benché fossero incominciate anche da noi le diffidenze e le prime avvisaglie di una messa al bando della psicoanalisi, riuscì a pubblicare, in onore di Freud, un volume di contributi scientifici, a cui collaborarono Weiss, Servadio, Perrotti, Merloni e Musatti.

Le giornate dei festeggiamenti, benché Anna, il medico personale Schur, e gli amici più intimi facessero ogni sforzo per tener lontane da Freud le persone che affettuosamente volevano rendergli omaggio, furono faticose.

Dopo le celebrazioni per l'ottantesimo compleanno furono rinnovati da più parti i tentativi (già compiuti nel 1930 dopo il Premio Goethe) perché fosse conferito a Freud il Premio Nobel. Ma né la psicoanalisi, né la psicologia stessa erano ancora inquadrate nelle scienze classiche riconosciute, e i tentativi in favore di Freud rimasero senza esito.

Alla fine del 1936 Marie Bonaparte comunicò a Freud di essere riuscita ad acquistare da un antiquario il plico delle lettere e degli altri scritti inviati da Freud a Fliess, tra il 1887 e il 1902, nel periodo della loro amicizia.

Freud non fu entusiasta di questa trouvaille; avrebbe personalmente preferito che quelle vecchie carte fossero andate perdute. Propose a Marie Bonaparte di rimborsarle almeno in parte la spesa. Pregò che comunque quei documenti non fossero resi pubblici. Invece dopo la morte di Freud, tanto le lettere, che le cosiddette Minute teoriche (ossia gli appunti a carattere scientifico da cui le lettere erano spesso accompagnate), e lo stesso manoscritto dell'incompiuto Progetto di una psicologia (1895) furono, col consenso di Anna Freud, e a cura della stessa e di Ernst Kris, date alle stampe (si veda il voi. 2 di queste "Opere"). Si tratta intatti di un materiale prezioso per la comprensione di tutto il successivo sviluppo del pensiero freudiano.

Il 1937 fu l'ultimo anno in cui potè essere pubblicata a Vienna la "Internationale Zeitschritt fùr Psychoanalyse", organo ufficiale della Associazione psicoanalitica internazionale.

In Germania essa era già proibita. A tale proposito va ricordato come i nazisti, andati al potere in Germania nel 1933, abbiano eliminato la psicoanalisi nel paese in modo progressivo. Nel maggio dello stesso 1933 furono bruciati sulla pubblica via i libri di Freud. Nella stessa primavera fu proibito a Eitingon di dirigere l'Istituto di psico-analisi.

Max Eitingon parti allora per la Palestina in esplorazione, e fini poi con lo stabilirsi là. Gli succedette a Berlino Felix Boehm, che cercò di trovare un accordo con le autorità naziste. Boehm tentò dapprima di salvare la continuità della Società psicoanalitica tedesca, ciò che fu ottenuto con la esclusione dei membri ebrei e con il ritiro dell'adesione alla Associazione psicoanalitica internazionale. Un certo aiuto perché, sul piano puramente scientifico, i principi della psicoanalisi potessero continuare a essere professati in Germania, fu dato all'inizio da M. H. Goering, psichiatra e cugino del gerarca nazista. Di fatto però si ebbe una progressiva eliminazione della psicoanalisi, il cui stesso nome fu più tardi bandito.

Ciò era una chiara indicazione di quanto sarebbe accaduto anche a Vienna nel caso di una annessione alla Germania.

Eppure il 1937 fu un anno produttivo per Freud.

Scrisse ancora due brevi necrologie. Nella primavera gli giunse infatti l'annuncio della morte di Lou Salomé, che era stata una sua affettuosa corrispondente in tutti gli ultimi anni. Freud compose per lei un ricordo da cui traspare l'affetto e il rispetto per questa donna di grande ingegno, che nell'ultimo periodo della vita si era dedicata con passione all'esercizio della psicoanalisi, abbandonando completamente l'attività letteraria per la quale era pure molto versata. Un altro breve necrologio fu dedicato da Freud a Ludwig Braun, un medico ebreo suo amico e collega del B'nai-B'rith (una associazione aconfessionale degli ebrei viennesi).

Ma in quell'anno Freud pubblicò anche nella Zeitschrift gli ultimi due importanti lavori scientifìci che (a prescindere dal libro su Mosè) furono stampati integralmente mentre ancora egli era in vita.

Sono due lavori di tecnica: Analisi terminabile e interminabile e Costruzioni nell'analisi.

Pur senza ripudiare nulla di quanto aveva sostenuto nelle opere precedenti, vi è in questi scrìtti di Freud un maggiore distacco, come se si trattasse di una specie di riflessione su sé stesso e sulle proprie dottrine.

Sembra che Freud sia divenuto più critico, meno dogmatico, in qualche modo più saggio, nel considerare l'opera propria e la funzione in genere dello psicoanalista.

Coloro che dallo studio delle opere di Freud hanno tratto personalmente una inclinazione a un certo fanatismo intellettuale riguardo alle sue dottrine (come accade inevitabilmente ai discepoli di una grande personalità, per gli elementi di traslazione che si istituiscono) possono perfino rimanere turbati di fronte alle venature di scetticismo che si colgono in questi scritti.

Lo stesso Freud, che era sempre apparso intollerante verso le critiche altrui, anche se provenienti, anzi soprattutto se provenienti dai propri allievi, ammette qui di aver potuto qualche volta sbagliare, e di non essere ad esempio sempre certo della stabile e irreversibile efficacia della propria tecnica terapeutica. E in Costruzioni nell'analisi ripudia il termine "interpretazioni", prima sempre usato per indicare le determinazioni, attraverso il lavoro analitico, dei significati del materiale portato dal paziente, per mettere in rilievo una sorta di fantasia creatrice dell'analista (guidata dal proprio inconscio), analoga a quella dell'archeologo, che riporta alla luce nella loro ricostruita interezza le situazioni del passato, insieme componendo e integrando i frammenti tratti dagli scavi.

Nel 1938 la situazione politica precipitò; e nei primi mesi dell'anno l'Austria fu invasa e annessa alla Germania.

Come sempre accade in simili evenienze, la morsa si stringe poco alla volta, e all'inizio nessuno riesce a immaginarsi un quadro esatto di quello che sarà l'avvenire.

Freud fino all'ultimo propendeva per rimanere a Vienna. Ma gli amici che vedevano le cose da lontano, soprattutto Marie Bonaparte ed Ernest Jones, si adoperarono per organizzare — finché la cosa era fattibile — il trasferimento all'estero di Freud con la famiglia.

Bisognava dapprima persuadere lo stesso Freud. Ciò riuscì a fatica a Jones, giunto appositamente a Vienna. Quindi lo stesso Jones, ritornato a Londra, ottenne il visto di ingresso in Inghilterra per Freud, i suoi familiari e Max Schur, il medico personale. Alla fine vennero esercitate varie pressioni da parte di autorità internazionali sul governo tedesco per ottenere che il gruppo di Freud e dei suoi familiari potesse uscire dall'Austria.

La partenza venne effettuata alla spicciolata. L'ultimo a partire il n giugno 1938 fu lo stesso Freud, con la moglie, la figlia Anna, una domestica, la fedele governante Paula Fichtl e la dottoressa Josefine Stross, che sostituì momentaneamente il dottor Schur, improvvisamente ammalatosi. (Le quattro anziane sorelle di Freud, che dovettero rimanere, furono assassinate ad Auschwitz nel 1942.)

II giorno successivo fecero tappa a Parigi in casa di Marie Bonaparte. Durante la notte passarono in Inghilterra giungendo a Londra il 5 giugno.

Quella notte di viaggio in mare Freud fece un sogno: sapeva di essere diretto in Inghilterra, ma gli parve di dover approdare, anziché a Dover, a Pevensey. Pevensey è il luogo dove sbarcò in Inghilterra Guglielmo il Conquistatore nel 1066.

Interpretò egli stesso il sogno al figlio Ernst, che era venuto a Parigi per accompagnare a Londra la famiglia. Riviveva l'eterno destino dell'ebreo, cacciato dal paese dove era nato e vissuto, per andare alla ricerca di una nuova patria (ma Freud invano intraprese subito le pratiche per ricevere al più presto la cittadinanza inglese, che non fece a tempo a ottenere). D'altra parte, a ottantadue anni, e ammalato, nel profondo inconscio si sentiva ancora, come Guglielmo di Normandia, quel conquistatore di nuove terre che era sempre stato.

L'accoglienza in Inghilterra, non soltanto da parte degli ambienti scientifici e delle autorità politiche, ma della stessa comune popolazione, fu trionfale.

Al suo arrivo Freud fu intervistato. Disse soltanto poche parole che vennero registrate, cosicché è tuttora possibile ascoltare la sua stanca voce, impacciata per la terribile protesi alla mascella. Esprime il dolore per aver dovuto abbandonare, sul finire dell'esistenza, i luoghi dove aveva sempre vissuto, ma insieme la soddisfazione di poter concludere la propria vita in un paese libero.

Dopo alcuni mesi (e un nuovo intervento chirurgico) i Freud si stabilirono in un appartamento al N. 20 di Maresfield Gardens, dove Freud si proponeva di riprendere a lavorare. Là egli visse fino alla morte, e là tuttora abita Anna Freud.

Fin dal 21 giugno aveva cominciato a rivedere il manoscritto del terzo saggio del Mosè, in vista della pubblicazione del libro completo; e il 22 luglio aveva cominciato a scrivere il Compendio di psicoanalisi (1938) la cui prima pagina del manoscritto porta appunto tale data; il Compendio rimase tuttavia incompiuto e fu pubblicato postumo.

Altri scritti non terminati furono pubblicati postumi. Così la breve nota su La scissione dell'Io nel processo di difesa, teoreticamente molto importante, e così pure le poche pagine di Alcune lezioni elementari di psicoanalisi, nonché alcuni appunti e pensieri sparsi ritrovati sulle due facciate di un foglio, risalenti pure al 1938.

Dunque l'ultimo libro completato in Inghilterra fu quello su L'uomo Mosè e la religione monoteistica (1934-38), di cui usci pure una traduzione inglese nel 1939. Ma furono anche pubblicati, nel periodo londinese, un articolo e una lettera sul problema dell'antisemitismo, scritti nell'autunno del 1938.

Freud non poteva non sentire profondamente il problema dell'antisemitismo. Ne era stato vittima, in forme per così dire sopportabili, anche se umilianti, nella prima parte della sua vita, e ora pagava con l'esilio e la persecuzione il tatto di essere ebreo e di sentirsi collegato alla comunità ebraica, pur essendo totalmente immune da ogni credenza religiosa. Egli rifiutava dunque la compassione e i benevoli inviti alla tolleranza verso gli ebrei, come qualche cosa di insultante, rivendicando invece per ogni uomo una condizione di assoluta parità, nella dignità e nel diritto. Questo egli afferma appunto in questi ultimi scritti, che riuscì a vedere pubblicati su un periodico francese e su un giornale inglese.

I lavori a cui Freud attese nell'anno in cui soggiornò a Londra, l'ultimo della sua vita, dimostrano la sua tenacia. Riteneva di avere ancora qualche cosa da dire. Da un lato gli premeva comporre una succinta esposizione della psicoanalisi, che non avesse però carattere divulgativo, come altre scritte in passato, e che potesse invece servire a giovani studiosi già inoltrati nello studio della psicoanalisi e desiderosi di approfondirne la conoscenza su un piano teorico e tecnico. Questo avrebbe dovuto essere, e in effetti è, il Compendio di psicoanalisi (1938).

D'altra parte, trovandosi in un paese nuovo, con la consapevolezza che ormai soltanto nel mondo anglosassone la psicoanalisi avrebbe potuto prosperare ed estendere la propria influenza, Freud voleva pubblicare qualche cosa di elementare, destinato specificamente a questo ambiente. Scrisse infatti il titolo di Alcune lezioni elementari di psicoanalisi in inglese: Some Elementary Lessons in Psycho-Analysis, forse col proposito, se le forze gli fossero bastate, di tradurlo e pubblicarlo in inglese, quale omaggio al paese che generosamente lo ospitava.

Fin da quando era a Vienna, in attesa che venissero espletate le pratiche per l'espatrio, tanto egli quanto Anna si erano esercitati nella lingua inglese, con lavori di traduzione. Come si è detto, i lavori scritti a Londra rimasero incompiuti, ma pure nella forma in cui ci sono pervenuti, essi sono tutt'altro che privi di interesse scientifico: sia perché correggono il tono eccessivamente pessimistico che domina l'Analisi terminabile e interminabile del '37, sia perché contengono alcuni spunti teoretici molto notevoli (si pensi a La scissione dell'Io nel processo di difesa e ad alcune pagine del Compendio di psicoanalisi) i quali dimostrano come la vena creativa di Freud non fosse spenta.

Il male da cui Freud era affetto continuava a progredire e si produssero metastasi, per cui le cure e i numerosi interventi chirurgici a cui era stato sottoposto negli ultimi anni, non servivano ormai pili. Continuò tuttavia a mantenersi in corrispondenza con le persone ancora superstiti a cui era più legato, come Marie Bonaparte, Ernest Jones, ma anche il romanziere inglese H. G. Wells, Albert Einstein e Arnold Zweig.

Fino alla fine di luglio del 1939 Freud prosegui nello svolgimento del lavoro analitico con quattro pazienti, che vedeva giornalmente. In agosto le sue condizioni peggiorarono, ma non smise di interessarsi agli avvenimenti mondiali, e apprese con angoscia che era scoppiata la guerra.

A chi gli domandò se pensava che quella fosse l'ultima guerra, rispose col suo solito umorismo: "Per me è l'ultima."

In settembre i dolori si fecero insopportabili, mentre l'organismo diveniva sempre più debole. È stato raccontato che il 21 settembre in un momento di lucidità (aveva frequenti stati di sopore) Freud ricordò al dottor Max Schur un discorso fattogli quando lo aveva assunto come medico: sulla inutilità di prolungare le sofferenze, quando non esistano più possibilità di ripresa. Si è molto parlato, a proposito della morte di Freud, di eutanasia. Ma il problema non esiste. Schur fece semplicemente quello che qualsiasi medico serio, e che non sia un sadico, deve fare di fronte alle inutili sofferenze di un ammalato condannato. Aumentò lievemente la dose di morfina per attenuare i dolori, e Freud si assopì senza più svegliarsi, cessando di vivere nella notte del 23 settembre 1939.

Poiché questo è l'ultimo dei volumi della edizione italiana Borin-ghieri delle "Opere di Sigmund Freud", la Introduzione dovrebbe concludersi riassumendo ciò che l'opera di Freud è stata, non soltanto per la psicologia, la psicoterapia e la psichiatria in senso stretto, ma in via generale per la scienza moderna e per il mondo in cui viviamo. Ci sembra però che a tal fine non esista modo migliore, che affidarsi alle parole del messaggio augurale consegnato da Thomas Mann a Freud per l'ottantesimo compleanno. E poiché tali parole, a quarantanni dalla morte di Freud sono tuttora integralmente attuali, le riportiamo, così come le ha tradotte Renata Colorni, che all'edizione italiana delle Opere di Freud ha validamente contribuito. Tralasciamo soltanto le due frasi di circostanza, direttamente connesse all'occasione specifica che diede luogo a quel discorso.

"Importante in ogni sfera della sua attività, come medico, psicologo, filosofo e artista, questo coraggioso veggente e taumaturgo ha svolto per ben due generazioni di studiosi una funzione di guida nell'esplorazione di sfere finora insospettate dell'animo umano.

"Spirito sommamente indipendente, uomo e cavaliere, triste e severo in volto, come Nietzsche diceva di Schopenhauer, pensatore ed esploratore che seppe star solo, anche se poi trasse molti a sé e con sé, Freud è andato per il proprio cammino penetrando verità che in tanto parevano pericolose in quanto rivelavano cose che erano state tenute ansiosamente celate e gettavano luce in plaghe oscure. Per ogni dove egli ha messo a nudo problemi nuovi e ha mutato gli antichi criteri: con le sue indagini e le sue scoperte ha enormemente ampliato l'ambito della ricerca psichica, costringendo i suoi stessi avversari a dichiararglisi debitori dello stimolo creativo che da lui avevano tratto. Anche se il futuro riplasmerà o modificherà questo o quel risultato delle sue ricerche, mai più potranno esser messi a tacere gli interrogativi che Sigmund Freud ha posto all'umanità; le sue scoperte scientifiche non si possono più né negare né occultare. I concetti che egli ha formulato, le parole che egli ha scelto per esprimerli sono già entrati con naturalezza nella lingua vivente. In tutti i campi delle scienze dello spirito, nella indagine sulla letteratura e sull'arte, nella storia delle religioni e nello studio della preistoria, nella mitologia, nel folklore e nella pedagogia, e non da ultimo nella stessa creazione poetica, la sua opera ha lasciato un'impronta profonda, e siamo certi che, se mai alcuna impresa della nostra specie umana rimarrà indimenticata, questa sarà proprio l'impresa di Sigmund Freud, che ha penetrato le profondità dell'animo umano.

"Noi tutti non potremmo neppure immaginare il nostro mondo spirituale senza la coraggiosa opera che Freud ha svolto nell'arco della sua esistenza."